Il sindacato



Le lotte sindacali del sessantotto le ho vissute in fabbrica. Ero sposato da quattro anni ed era nata la mia primogenita, il primo dovere, conseguentemente, era di mantenere la mia famiglia.

Premetto questo perché l'avvio dell'autunno caldo sindacale del 1969 mi aveva lasciato molto preoccupato prevedendo, come successe, un periodo di scioperi e contestazioni violente.


La fabbrica era periodicamente "piantonata" non tanto dagli stessi lavoratori quanto dai gruppi di estremisti che impedivano comunque qualsiasi forma di dialogo e di libertà individuali. Volenti o nolenti venivamo trascinati in azioni che avevano ben poco di democratico e che, sostanzialmente, andavano contro gl'interessi di altri lavoratori non immediatamente coinvolti nelle lotte sindacali del momento.


Interruzioni del traffico stradale durante le "marce" sul capoluogo, sede dell'Unione Industriali, blocco dell'autostrada che penalizzava  in modo indifferenziato, tutti coloro che disgraziatamente in quelle ore l'avessero percorsa, minacce, anche pesanti e preoccupanti, verso coloro che avessero osato discutere e non condividere tali metodi. In molti casi erano gli stessi operai che reagivano a queste forme d'imposizione coatta e cacciavano gli estremisti senza alcun riguardo.


Il "maggio francese" ebbe inizio nelle università con gli studenti che scesero in piazza e, successivamente, coinvolsero il mondo del lavoro. In Italia, sostanzialmente, iniziò nel 1969 con l'autunno caldo nelle fabbriche con gli scioperi che sollecitavano i rinnovi contrattuali, ampiamente scaduti, e solo successivamente coinvolse masse più numerose della società civile.


Da questo successivo coinvolgimento e dalla strumentalizzazione politica che l'extraparlamentarismo nostrano utilizzò in modo violento,  il mondo del lavoro prese le distanze e ne denunciò il carattere antidemocratico e anarcoide.


Per noi metalmeccanici la lotta terminò con la firma del contratto nazionale di lavoro e, poco tempo dopo, con l'approvazione dello "Statuto dei Lavoratori" la cui applicazione sostituiva le "commissioni interne" con il "Consiglio di Fabbrica". Nel frattempo si era costituita l'FLM, la Federazione Lavoratori Metalmeccanici con l'adesione delle tre sigle sindacali la Fim, la Fiom e l'Uilm.  Nella elezione dei delegati venni caldeggiato a presentarmi candidato rappresentanza degli impiegati tecnici. Accettai e venni eletto. Il funzionario sindacale di zona era Provasi, sostituito in seguito da Bano.


 Mi ritrovai tra i pochi impiegati eletti in una marea di operai e, da parte di questi ultimi, in un'atmosfera di sospetto, se non di ostilità. Era ancora il periodo dell'operaismo e l'impiegato, (in parte anche per sua colpa) era individuato come il "servo" del padrone. Gli effetti del nuovo Contratto di lavoro che in molta parte modificava i rapporti sindacali e le disparità tra le due categorie, non erano ancora entrati nel pieno della loro realizzazione.  A Bergamo partecipai ad una serie di "lezioni", tenute da Gino Giugni, sulle novità introdotte dallo Statuto dei lavoratori e sulla loro applicazione in ambito aziendale. Fu un'esperienza interessante  e molto istruttiva.


In azienda,  nei gruppi di lavoro  che furono costituiti, mi venne assegnato il ruolo di coordinamento con Le Scuole Medie di Dalmine, il cui preside era il professor Tiani che anni dopo incontrai come collega in Consiglio Comunale, per l'applicazione e la gestione delle 150 ore, una delle conquiste del Contratto Nazionale.  Riuscii a svolgere il ruolo, ritengo, con soddisfazione da parte del Consiglio dei Delegati e venni invitato ad uno stage sindacale in Val Taleggio. Erano i giorni drammatici del "putsch cileno" culminato con l'uccisione di Allende.


Venne apprezzata la mia relazione finale e, qualche giorno dopo rientrato in stabilimento, venni contattato da Giossi, appartenete all Fim Cisl, per assumere l'incarico di "distaccato sindacale". Questo significava l'abbandono delle mie attività lavorative per lungo tempo e, dopo aver riflettuto a lungo, decisi di declinare l'offerta. Avevo sempre affrontato il mio lavoro con entusiasmo e curiosità, avevo, negli anni, acquisito molte esperienze nelle varie funzioni che mi erano assegnato, conseguentemente mi spiaceva lasciare questo bagaglio di esperienze per tentare un'avventura che non ero sicuro mi avrebbe dato le medesime soddisfazioni.


Mi ritirai dal sindacalismo attivo quando accadde la marcia dei quarantamila di Torino. Condividevo l'impressione che ormai la gestione del sindacato era "politica" e veniva strumentalizzata, in special modo, dalle frange estremiste che si erano infiltrate nella Cisl. Se avessi voluto far politica, avrei aderito ad un Partito e non agito come cinghia di trasmissione per questo o per quello. In quell'occasione  redassi e firmai una lettera - documento nella quale si denunciava la strumentalizzazione politica degli scioperi  e si esprimeva la solidarietà per la manifestazione torinese. Il documento, pubblicato da un Quotidiano nazionale,  venne sottoscritto da oltre 150 impiegati ma solo il sottoscritto fu messo sotto "inchiesta". In una riunione del Consiglio di Fabbrica difesi sia il suo contenuto, sia le motivazioni che  avevano convinto tanti dipendenti a sottoscriverlo  Il mio carattere m'impediva di tenere il piede in due scarpe.


Al successivo rinnovo dei delegati non ripresentai la candidatura e terminò anche la mia esperienza di sindacalista dilettante.


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